XI.NTFI
Abrégé d’Histoire Figurative
La Vita è Altrove La sfida posta all'interno dell' Abrégé è stata quella di portare al massimo grado di lirismo e visionarietà le singole figure dei tre concetti che compongono l'Histoire di questo Abrégé (ovvero l'automa spirituale, l'atlante e la wunderkammer), facendoli diventare letteralmente dei veri e propri collettori per la messa in vita di concetti-figure a loro affini. Il risultato di questa germinazione figurativa, frutto ovviamente della straordinaria ricchezza e complessità dei tre concetti-figure messi al centro del progetto, è la nascita di un breve compendio di "storia figurativa" che pone al centro del suo lavoro alcuni interrogativi spesso divenuti veri e propri snodi del pensiero occidentale moderno. Uno di questi interrogativi si può formulare in questi termini: è possibile realizzare un pensiero che riesca a legare e rendere coerente ciò che si pensa e ciò che si fa? In questo interrogativo il voler provocatoriamente mettere in evidenza quanto un concetto di natura speculativa e mentale sia al tempo stesso una figura ed un oggetto reale del "quotidiano banale" (come direbbe Gilles Deleuze 1) e di come dal reale debba nutrirsi con pragmatiche innovative e spregiudicate, (fino a far scomparire la scissione vita-pensiero o, come direbbero André Breton e i surrealisti, la barriera “fra sogno e vita”), è la vera scommessa che pone questo Abrégé, avendo come riferimento speculativo una stagione estetico-filosofica occidentale del novecento ben definita, quella della French Theory 2. Altro punto di domanda dell'Abrégé legato agli snodi cruciali di cui sopra si accennava: l'arte può sostenere questa vocazione osmotica e dialettica della parola poetica e filosofica fondandosi soltanto sul sogno-ambizione di un'unità arte-vita? In quest'ultimo interrogativo Michel Foucault indica in alcuni suoi lavori dei riferimenti e delle strade di grande fascinazione e interesse. Nella conferenza Che cos'è l'illuminismo ? 3, legando il pensiero di Kant all'idea di modernità che Baudelaire realizza nelle sue prose dedicate ai pittori moderni, Foucault afferma (citando Baudelaire) che soltanto l'arte può trasfigurare il reale tramite la visionarietà e l'atteggiamento ironico ed eroico dell'artista moderno che sa "liberare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico nello storico". Nella conferenza tenuta presso la Sorbona di Parigi nel maggio del 1978 intitolata Che cos'è la critica? 3 Foucault sottolinea che bisogna "fabbricare da sè la propria storia", in quella che definisce "una certa pratica storico-filosofica, che non ha nulla a che vedere con la filosofia della storia e con la storia della filosofia". E nello scritto Un fantastico in biblioteca 4 illustra alcune possibili e auspicabili pragmatiche legate agli strumenti classici del lavoro intellettuale ed artistico; "l'immaginario", afferma Foucault, "non si costituisce contro il reale per negarlo o compensarlo, si stende tra i segni, da libro a libro, nell'interstizio delle ripetizioni e dei commentari". In un archivio o in un libro, ("per sognare non bisogna chiudere gli occhi, basta leggere") prendon vita, nella "pazienza del sapere" o nella "vivacità di un'immaginazione in delirio", immagini e concetti assolutamente dimenticati o peggio ancora sviliti o depotenziati. "Il chimerico" afferma Foucault, "ormai nasce dalla superficie nera e bianca dei segni stampati, del volume chiuso e polveroso che si apre su un volar di parole obliate; si dispiega con cura nella biblioteca attutita, con le sue colonne di libri, i suoi titoli allineati, i suoi scaffali che la limitano da tutte le parti ma che per un altro verso si spalancano su mondi impossibili...non si ha più il fantastico nel proprio cuore...lo si attinge dall'esattezza del sapere; la sua ricchezza attende fra i documenti". |
E di immagini, carte e composizioni e pannellature di documenti, autografi e relitti del sapere è composto l'intero Abrégé d’Histoire Figurative, punto non di approdo ma di partenza per la messa in vita di ulteriori pragmatiche ed esperienze a cui fa riferimento Foucault (e non soltanto lui ovviamente), pragmatiche troppo spesso nel novecento fraintese e identificate essenzialmente in mere ipotesi teoriche, poche volte però validate e messe alla prova con esperienze nel e del reale. Esperienze-esperimenti che acutamente Breton prefigura nel suo Les Vases communicants come condizioni indispensabili per la venuta del "poeta venturo", per non scindere più fra realtà e surrealtà, azione e sogno, in perfetto equilibrio fra contenitore e contenuto, "per mostrare che è possibile visitare l'uomo nel cuore dell'universo"5, magari tenendo sempre a mente una delle pragmatiche più esemplari della modernità, ovvero il grande abbandono e rifiuto di Arthur Rimbaud verso la poesia e l'occidente stesso. Atto estremo ed esemplare dell'irriducibilità dell'atto poetico nella sua messa in pratica nella vita del quotidiano, la fuga di Rimbaud in un territorio come quello africano oggi riecheggia ai nostri occhi non più come il grande enigma o vaticinio a cui non si riesce fino in fondo a credere o a darsi una coerente spiegazione, ma come l'intuizione e la preveggenza di un atto poetico ed esistenziale attorno alle nostre contraddizioni di uomini moderni, attorno allo sviluppo delle nostre coscienze e alle indifferenze e inerzie rispetto alla totalità delle nostre vite. A partire proprio dallo scellerato atteggiamento tenuto dall'occidente negli ultimi due secoli nei confronti del territorio africano, pianificando programmazioni, sviluppi e crescite inique di cui mai fino in fondo ha avuto la voglia di fasci carico, il gesto di Rimbaud assume per noi oggi una carica e una forza simbolica di straordinaria potenza e suggestione. Il Grande Veggente Arthur Rimbaud un secolo e mezzo fa era lì, in Africa, con tutte le sue contraddizioni umane irrisolte, vivendo nella calura delle luminose notti stellate africane, saggiando nell'imprevedibile quotidiano l'inconoscibile e l'inedito, ipotizzando e mettendo in vita comunità miste di europei, africani e asiatici, saldando affetti e inimicizie, ostilità ed emozionalità, visionarietà inafferrabili e necessità ineludibili. A Parigi, negli stessi anni in cui Rimbaud viveva in Africa, si iniziava a diffondere tramite i suoi amici ed estimatori la sua poesia e il mito attorno alla sua figura; per Rimbaud, che viveva in Africa, la sua poesia era roba ormai superata, passata, lui stava sperimentando e mettendo in atto una nuova forma di poesia e di sapere, legata alla terra che viveva e alle persone con le quali si relazionava per la faccende essenziali e "banali" della sua nuova e tanto desiderata vita. Una "vita" pensata e agita radicalmente e semplicemente "altrove".6 Domenico Mennillo NOTE 1. Si veda in particolare il capitolo "Il pensiero e il cinema", in Gilles Deleuze, Cinema 2. L'immagine-tempo, ubulibri, Milano 2004. 2. François Cusset, French Theory, Il Saggiatore, Milano 2012. 3. Conferenza pubblicata in Michel Foucault, Illuminismo e critica, edita da Donzelli (Roma 1997). 4. Testo pubblicato in Michel Foucault, Scritti letterari, Feltrinelli, Milano 2010. 5. André Breton, I vasi comunicanti, Cappelli, Bologna 1983 6. Sia il titolo di questo testo che la sua chiusa fanno riferimento ad una frase attribuita a Rimbaud, “La vraie vie est ailleurs”; in realtà l’unica frase che si possa trovare negli scritti di Rimbaud vicina a quella citata è “La vraie vie est absente”, contenuta nel celeberrimo testo Une saison en enfer. |
Abrégé d’Histoire Figurative
un’installazione di Domenico Mennillo produzione lunGrabbe installazioni, collage, disegni, fotografie Domenico Mennillo allestimento Rosaria Castiglione realizzazione scenotecnica Monica Costigliola, Angelo De Matteo, sonorizzazione macchine analogiche Nino Bruno personale di sala Giuseppe Terracciano, Marianna Sepe personale di sala NTFI Ilaria Muscariello, Federica Morra, Sabrina Gallo documentazione fotografica Amedeo Benestante, Gianfranco Irlanda documentazione fotografica NTFI Salvatore Pastore documentazione video Stefano Renza montaggio video Diego Liguori consulente direzione artistica NTFI Nadia Baldi coordinamento generale NTFI Perla Montella comunicazione NTFI Patrizia Bologna ufficio stampa NTFI Renato Rizzardi un progetto inserito all’interno della Sezione Mostre del Napoli Teatro Festival Italia 2018/Direzione Artistica Ruggero Cappuccio col contributo di Regione Campania, Fondazione Campania dei Festival Napoli, Palazzo Fondi, 16 giugno-8 luglio 2018 |
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#1 WLK Wunder_Litterature_Kammer
WLK è lo spazio dedicato all’accumulo e alla collezione dove la carta, la parola, l’inchiostro (il litterature presente in Wunder_Litterature_Kammer) divengono il perno simbolico e materiale di una ricerca che spazia dalla scrittura filmica fino alla performance, per la creazione di uno spazio “monstre” ove immettere connessioni fra scritture “minoritarie” e loro implicazioni con scienze ufficiali, realizzazioni di ibride creazioni fra poesia e arte visiva, archivi e apparati di oggetti, suoni e odori. WLK è così suddivisa:
WLK#1 Archive de la Mélancolie Italienne
La stanza è composta da quattro set installativi (organizzata progressivamente da WLK#1A a WLK#1D) ed è dedicata da una parte alla raccolta di documenti cartacei e fotografici "detournati" raggruppati fra tavoli-archivo e Vitrine e dall'altra all'elaborazione poetico-artistica di lacerti e frammenti di documenti (Poème de la Lumière e ) e suggestioni culturali (Die Passagen Werk), tesi ad alimentare e argomentare una ricezione ed emanazione italiana dell'inafferrabile e seducente concetto-figura occidentale della melanconia.
La stanza è composta da quattro set installativi (organizzata progressivamente da WLK#1A a WLK#1D) ed è dedicata da una parte alla raccolta di documenti cartacei e fotografici "detournati" raggruppati fra tavoli-archivo e Vitrine e dall'altra all'elaborazione poetico-artistica di lacerti e frammenti di documenti (Poème de la Lumière e ) e suggestioni culturali (Die Passagen Werk), tesi ad alimentare e argomentare una ricezione ed emanazione italiana dell'inafferrabile e seducente concetto-figura occidentale della melanconia.
WLK#1C Vitrine e WLK#1A Tavolo Censorio
Le due installazioni sono composte rispettivamente da due bacheche-vetrine (WLK#1C) e un tavolo con sedie (WLK#1A). Nelle due bacheche sono presenti documenti cartacei e fotografici provenienti soprattutto dal sud Italia (in particolar modo da Napoli) in un periodo temporale tra fine ottocento e metà novecento; i documenti esposti sono fotografie, manoscritti in versi e in prosa, appunti filosofici, diari privati, cahiers. Oggetto invece dell'indagine del Tavolo Censorio sono due epistolari d'amore, suddivisi ognuno in due libri d'artista artigianali ognuno riportante le epistole del mittente e del destinatario, provenienti rispettivamente da Napoli, Ferrara ed Udine.
Tutti i materiali presenti sono stati prelevati e selezionati in mercatini delle pulci o ritrovati in situazioni di completo abbandono e degrado.
Le due installazioni sono composte rispettivamente da due bacheche-vetrine (WLK#1C) e un tavolo con sedie (WLK#1A). Nelle due bacheche sono presenti documenti cartacei e fotografici provenienti soprattutto dal sud Italia (in particolar modo da Napoli) in un periodo temporale tra fine ottocento e metà novecento; i documenti esposti sono fotografie, manoscritti in versi e in prosa, appunti filosofici, diari privati, cahiers. Oggetto invece dell'indagine del Tavolo Censorio sono due epistolari d'amore, suddivisi ognuno in due libri d'artista artigianali ognuno riportante le epistole del mittente e del destinatario, provenienti rispettivamente da Napoli, Ferrara ed Udine.
Tutti i materiali presenti sono stati prelevati e selezionati in mercatini delle pulci o ritrovati in situazioni di completo abbandono e degrado.
WLK#1B Die Passagenwerk
I «passages» di Parigi Passagenwerk è la grande opera dedicata ai Passagenwerk parigini che Walter Benjamin non riuscì mai a completare; nel manoscritto a cui Benjamin dedicò tanto lavoro sono presenti alcuni segni-simboli, realizzati dallo stesso Benjamin con pastelli e inchiostro nero, corrispondenti ai vari capitoli tematici dell’opera.
Die Passagenwerk è imperniato sulla legenda di questi segni così come lasciata da Benjamin; di recente presso l’editore Neri Pozza è apparso all’interno del volume di Walter Benjamin Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo (curato da Giorgio Agamben) una scheda che fa in parte riferimento alla legenda di cui si parla; presso il Walter Benjamin Archive di Berlino è invece reperibile la leggenda oggetto di questo intervento. Die Passagenwerk asseconda lo sviluppo progressivo della legenda stessa per serie da 3 (3 simboli X 3 strisce di simboli X 3 ripetizioni X 3 serie identiche). Questo intervento è incentrato a partire dall’importanza del numero 3 nella tradizione ebraica (di cui Benjamin era un fine conoscitore ed esegeta) e dall'interruzione, da parte dell'artista, della serie da lui stessa creata, in linea con la natura dei Passages di Benjamin, opera incompleta e forse non terminabile, come l’Atlante di Warburg e come tante altre opere del novecento che dell’incompletezza e del frammento fanno la loro cifra stilistica più caratteristica.
I «passages» di Parigi Passagenwerk è la grande opera dedicata ai Passagenwerk parigini che Walter Benjamin non riuscì mai a completare; nel manoscritto a cui Benjamin dedicò tanto lavoro sono presenti alcuni segni-simboli, realizzati dallo stesso Benjamin con pastelli e inchiostro nero, corrispondenti ai vari capitoli tematici dell’opera.
Die Passagenwerk è imperniato sulla legenda di questi segni così come lasciata da Benjamin; di recente presso l’editore Neri Pozza è apparso all’interno del volume di Walter Benjamin Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo (curato da Giorgio Agamben) una scheda che fa in parte riferimento alla legenda di cui si parla; presso il Walter Benjamin Archive di Berlino è invece reperibile la leggenda oggetto di questo intervento. Die Passagenwerk asseconda lo sviluppo progressivo della legenda stessa per serie da 3 (3 simboli X 3 strisce di simboli X 3 ripetizioni X 3 serie identiche). Questo intervento è incentrato a partire dall’importanza del numero 3 nella tradizione ebraica (di cui Benjamin era un fine conoscitore ed esegeta) e dall'interruzione, da parte dell'artista, della serie da lui stessa creata, in linea con la natura dei Passages di Benjamin, opera incompleta e forse non terminabile, come l’Atlante di Warburg e come tante altre opere del novecento che dell’incompletezza e del frammento fanno la loro cifra stilistica più caratteristica.
WLK#1D Poème de la Lumière
Poème objet dedicato ai segni che la luce lascia nel tempo sulla carta e alle scritture che su di esse si depositano in luoghi e circostanze diverse. Conservato in una piccola coperta in cuio e illuminato da una lampada posata su un tavola, Poème de la Lumière è un testo-oggetto inclassificabile, un desiderio di scrittura potenzialmente mai finibile, infinito nel suo porsi come attrattore di combinazioni e accordi di inchiostri, grafemi ed idee.
Poème objet dedicato ai segni che la luce lascia nel tempo sulla carta e alle scritture che su di esse si depositano in luoghi e circostanze diverse. Conservato in una piccola coperta in cuio e illuminato da una lampada posata su un tavola, Poème de la Lumière è un testo-oggetto inclassificabile, un desiderio di scrittura potenzialmente mai finibile, infinito nel suo porsi come attrattore di combinazioni e accordi di inchiostri, grafemi ed idee.
WLK#2 mirabilia/mi(se)rabilia/artificialia
Ricalcando parte della strutturazione classica delle wunderkammer (naturalia, mirabilia, artificialia), questa stanza presenta oggetti, rinvenimenti e lavori verbo-visivi di Domenico Mennillo, quest’ultimi legati essenzialmente ad interessi nati attorno allo studio delle procedure (collage e détournement in maniera particolare) delle avanguardie artistiche novecentesche. WLK#2 è organizzata in senso progressivo come WLK#1, seguendo un ordine che va WLK#2A fino a WLK#2F.
Ricalcando parte della strutturazione classica delle wunderkammer (naturalia, mirabilia, artificialia), questa stanza presenta oggetti, rinvenimenti e lavori verbo-visivi di Domenico Mennillo, quest’ultimi legati essenzialmente ad interessi nati attorno allo studio delle procedure (collage e détournement in maniera particolare) delle avanguardie artistiche novecentesche. WLK#2 è organizzata in senso progressivo come WLK#1, seguendo un ordine che va WLK#2A fino a WLK#2F.
WLK#3 m.d. autobiografia
Nella stanza sono adagiati su un tavolo 18 libri contabili della prima metà del novecento appartenenti al nonno dell’artista, Domenico Mennillo senior; alle pareti invece sono installate tuniche, camicie e indumenti realizzati con la canapa prodotta nelle campagne di Caivano (luogo di provenienza delle famiglia dell’artista), capi della famiglia di Domenico Mennillo senior realizzati e adoperati nello stesso periodo in cui sono stati stilati i libri contabili.
Nella stanza sono adagiati su un tavolo 18 libri contabili della prima metà del novecento appartenenti al nonno dell’artista, Domenico Mennillo senior; alle pareti invece sono installate tuniche, camicie e indumenti realizzati con la canapa prodotta nelle campagne di Caivano (luogo di provenienza delle famiglia dell’artista), capi della famiglia di Domenico Mennillo senior realizzati e adoperati nello stesso periodo in cui sono stati stilati i libri contabili.
WLK#4 dispositivo per il funzionamento dell’arancio nella pellicola per diapositiva
Questa installazione è legata alla poetica attorno alle “macchine desuete” elaborata da alcuni anni da Domenico Mennillo sulle potenzialità e la riscoperta di macchinari legati al cinema, alla fotografia e alla musica, accantonati dall’industria di settore per far posto a nuovi supporti tecnologici più remunerativi dal punto di vista economico; questo lavoro nello specifico è dedicato alla pellicola per diapositiva e al suo strumento principe di diffusione manuale-performativo, il diaproiettore.
Questa installazione è legata alla poetica attorno alle “macchine desuete” elaborata da alcuni anni da Domenico Mennillo sulle potenzialità e la riscoperta di macchinari legati al cinema, alla fotografia e alla musica, accantonati dall’industria di settore per far posto a nuovi supporti tecnologici più remunerativi dal punto di vista economico; questo lavoro nello specifico è dedicato alla pellicola per diapositiva e al suo strumento principe di diffusione manuale-performativo, il diaproiettore.
#2 Atlante della Fertilità
Il progetto è imperniato sulla creazione di due stanze-installazioni legate ai lavori poetici, visivi e sonori, realizzati da Domenico Mennillo dal 2008 al 2011, fra New York, Napoli e Parigi. Lavori che vanno sotto la matrice creativa univoca di Atlante della Fertilità, piccolo atlante poetico attorno alla decadenza che ha accomunato i destini di tre ex capitali dell'occidente.
Il progetto è imperniato sulla creazione di due stanze-installazioni legate ai lavori poetici, visivi e sonori, realizzati da Domenico Mennillo dal 2008 al 2011, fra New York, Napoli e Parigi. Lavori che vanno sotto la matrice creativa univoca di Atlante della Fertilità, piccolo atlante poetico attorno alla decadenza che ha accomunato i destini di tre ex capitali dell'occidente.
Punto di riferimento ideale ed affettivo dell’intero percorso sono il celeberrimo Atlante della Memoria di Aby Warburg, meglio conosciuto come Mnemosyne, e il Warburg Institute di Amburgo (dagli anni trenta trasferito a Londra a causa delle ritorsioni naziste) dove l’Atlante è custodito in forma di pannelli sciolti.
Il lavoro si articola scandito in ambienti visivo-sonori, ritmati secondo quell’ars combinatoria che, memore di una tradizione tutta occidentale (da Giordano Bruno a Leibniz a Warburg) vuole l’arte, assieme con l’intelletto, in perenne creazione e lontana da ambiti e discipline. Gli spazi installativi seguono un percorso poetico che attraversa differenti suggestioni: l’allestimento si ispira, infatti, sia all’ Additions de la troisième édition des Fleurs du Mal di Charles Baudelaire, di cui l’artista ha curato la traduzione, sia alle incisioni che Giordano Bruno impiegava per illustrare i suoi lavori filosofici, sia ai fascini tratti dal progetto di una “biblioteca infinita o biblioteca dell’infinito”, in riferimento a quella di Warburg presente nel Warburg Institute. Ad unire le due stanze-ambienti di Palazzo Fondi vi è un’installazione sonora, Atlante #1, realizzata da Mennillo in collaborazione con Nino Bruno. Si tratta di una sonorizzazione per macchine desuete e "in minore", del poema in parte inedito di Domenico Mennillo, Atlante della Fertilità.
#3 PIERROT ou d'Automate Spirituel
PIERROT è un progetto di filosofia e arti performative che nasce attorno ad un concetto fondamentale del pensiero filosofico di Gilles Deleuze, l’automate spirituel (automa spirituale); questo concetto, questa figura, scaturisce a sua volta da alcune riflessioni di Deleuze attorno le opere di Baruch Spinoza e Antonin Artaud.
Che cos’è l’automa spirituale secondo Deleuze? E’ il “testimone dell’impossibilità di pensare che è il pensiero, testimone del mondo imbecille delle immagini”. Deleuze avanza questa sua ipotesi all’interno del suo volume Cinema 2 L’immagine-tempo (UBU LIBRI, Milano 1989), confrontandosi con le teorie sul cinema di Antonin Artaud ed intravedendo nel rapporto con le immagini una vitalità per il pensiero per crearsi altre strade per la sua sopravvivenza in un mondo della “banalità quotidiana” che rende “intollerabile” qualsiasi ipotesi di “legame uomo-mondo, amore o vita”; pensiero come presa di coscienza della sua impossibilità, ma che rende possibile il pensare alla sua impossibilità, il suo continuo auto-generarsi sempre daccapo, questa sua tenace volontà di mettersi in vita, di crearsi un mondo accanto al mondo della perpetua banalità del quotidiano. E l’automa, in questo suo esser testimone, è il portatore di questa possibilità, di questa ipotesi di mondo.
PIERROT è un progetto di filosofia e arti performative che nasce attorno ad un concetto fondamentale del pensiero filosofico di Gilles Deleuze, l’automate spirituel (automa spirituale); questo concetto, questa figura, scaturisce a sua volta da alcune riflessioni di Deleuze attorno le opere di Baruch Spinoza e Antonin Artaud.
Che cos’è l’automa spirituale secondo Deleuze? E’ il “testimone dell’impossibilità di pensare che è il pensiero, testimone del mondo imbecille delle immagini”. Deleuze avanza questa sua ipotesi all’interno del suo volume Cinema 2 L’immagine-tempo (UBU LIBRI, Milano 1989), confrontandosi con le teorie sul cinema di Antonin Artaud ed intravedendo nel rapporto con le immagini una vitalità per il pensiero per crearsi altre strade per la sua sopravvivenza in un mondo della “banalità quotidiana” che rende “intollerabile” qualsiasi ipotesi di “legame uomo-mondo, amore o vita”; pensiero come presa di coscienza della sua impossibilità, ma che rende possibile il pensare alla sua impossibilità, il suo continuo auto-generarsi sempre daccapo, questa sua tenace volontà di mettersi in vita, di crearsi un mondo accanto al mondo della perpetua banalità del quotidiano. E l’automa, in questo suo esser testimone, è il portatore di questa possibilità, di questa ipotesi di mondo.
Rileggendo l’Etica di Spinoza , Deleuze (soprattutto in Spinoza Filosofia Pratica, Guerini e Associati, Milano 1991) riafferma questa messa in crisi del pensiero e lo fa sottolineando come le idee non sono un nostro prodotto, ma solo il succedersi, come le immagini banali di cui parla Artaud, di idee in noi, (in quanto noi stessi automaton, costrutti di idee) che si affermano in noi e da queste idee dipendono “nietzscheianamente” la nostra potenza di agire nella vita.
Il progetto, sostenuto da Fondazione Morra e E-M Arts, si è articolato attraverso una residenza di creazione ospitata da gennaio a marzo 2011 negli spazi della Biblioteca del Museo Nitsch; frutto di questa residenza è la partitura per due performer mai realizzata PIERROT ou d'Automate Spirituel, pubblicata nel volume di Domenico Mennillo, Alcune Architetture di Napoli 2003-2013. Il teatro di lunGrabbe nelle architetture napoletane, (edizioni Morra/e-m arts, Napoli 2014).
L’installazione presente nell’Abrégé di Palazzo Fondi riporta per l’appunto questa partitura dal volume di Mennillo, partitura che nel titolo rimanda al celebre Pierrot le fou di Jean-Luc Godard, manifesto di una stagione di quel "cinema-pensiero" da cui il cinema occidentale, per lunghi tratti della sua storia, si è nutrito e ispirato.
Il progetto, sostenuto da Fondazione Morra e E-M Arts, si è articolato attraverso una residenza di creazione ospitata da gennaio a marzo 2011 negli spazi della Biblioteca del Museo Nitsch; frutto di questa residenza è la partitura per due performer mai realizzata PIERROT ou d'Automate Spirituel, pubblicata nel volume di Domenico Mennillo, Alcune Architetture di Napoli 2003-2013. Il teatro di lunGrabbe nelle architetture napoletane, (edizioni Morra/e-m arts, Napoli 2014).
L’installazione presente nell’Abrégé di Palazzo Fondi riporta per l’appunto questa partitura dal volume di Mennillo, partitura che nel titolo rimanda al celebre Pierrot le fou di Jean-Luc Godard, manifesto di una stagione di quel "cinema-pensiero" da cui il cinema occidentale, per lunghi tratti della sua storia, si è nutrito e ispirato.