La Révolte contre la Poésie
narrazioni attorno alla WLK
a cura di Domenico Mennillo
Iain Chambers
L'archivio (s)piegato: la melanconia e le rovine del passato che non passa
Tiziana Terranova
Anarcheologia monadologica: media, memoria, archivio
Beatrice Ferrara e Alessandra Cianelli
Sulla pratica della meraviglia e la necessità di un archivio_Aprire o chiudere
Mauro Giancaspro
Macchine e carte smarrite
Domenico Mennillo
Abrégé d'Histoire Figurative, nomi e campiture di un "compendio" da fare
documentazione fotografica Biagio Ippolito
documentazione video Andrea De Cunzo coordinamento generale Peppe Morra e Teresa Carnevale partecipazioni Cinzia Infantino, Claudio Catanese, Andrea Marino col sostegno di Fondazione Morra, E-M Arts, lunGrabbe con il patrocinio di Regione Campania, Museo MADRE, Centro Studi Post Coloniali e di Genere dell’Università l’Orientale, Accademia di Belli Arti di Napoli, Goethe Institut in collaborazione con APOREMA onlus, Ass. Amici della Biblioteca dei Girolamini, Marasma Studio, Liceo Statale Margherita di Savoia Napoli, Sala capriata del Museo Nitsch, 12 gennaio 2015 |
L’archivio (s)piegato
Iain Chambers
Museo Nitsch 12.1.16
Questo spazio proposto da Domenico ci invita allo stupore, il wunder, the wonder, davanti agli oggetti che ci permettono di fare dei collegamenti imprevisti e che forse non devono essere fatti, come direbbe l’artista cherokee Jimmie Durham.
In questo spazio possiamo dialogare in modo sperimentale, scegliendo tra i percorsi già conosciuti del sapere e altri, ancora sconosciuti, nascosti o rimossi.
Possiamo esplorare gli oggetti cercando dei risultati che ci permettono di ri-assemblare i loro significati, di investirli con domande non ancora ascoltate, di tagliare il loro senso per lasciare delle ferite.
Queste possono essere le ferite dei tempi non ancora raccontati, e perciò destinati a restare aperti, incurabili, come direbbe il mio amico antropologo Tarek Elhaik.
Allora, insistiamo sullo spaesamento.
Lo spaesamento è dove tutto dev’essere rinegoziato, ricollocato.
Qui la memoria perde qualcosa per galleggiare un po’ alla deriva, in flussi sconosciuti, per approdare ad altre rive.
Anche l’Europa d’oggi è un Wunderkammer, composta di oggetti raccolti e accumulati dalle diverse collezioni individuali e collettive, dai diversi imperi e colonialismi.
Viviamo tra i resti che sono arrivati tramite l’appropriazione del resto del pianeta. Sono queste testimonianze – dalla musica alla cucina, dalle credenze religiose alle culture ibride – a essere esposte nella metropoli postcoloniale.
Come si vede, non si tratta semplicemente di un esercizio estetico. La questione è profondamente storica e epistemologica.
Percorrendo i percorsi promossi dagli oggetti possiamo trovarci in zone che la narrazione consueta, l’archivio istituzionale, la spiegazione ufficiale, non hanno autorizzato.
Così il tempo dell’autorizzazione viene tagliato. La violenza della linearità storica va deviata, sovvertita, fatta a pezzi.
E qui che si può praticare la discontinuità, – che orrore! – e interrompere la Storia che ci rende sudditi.
Quando il tempo-spazio è piegato, gli oggetti, le storie e le vite, una volta distaccate nel tempo e nello spazio, sono rese vicine, prossime.
In queste pieghe sono registrate le profondità del presente stratificato, contaminato, e il suo debito verso un passato rimosso e bloccato, che si accumula nel nostro stato attuale di malinconia.
Il rifiuto di elaborare questo passato, e come minimo riconoscerlo per meglio riconfigurare il senso del presente, può solamente nutrire la nostra malinconia.
Qui gli oggetti accumulati ci interrogano, rendendo le nostre conoscenze e le nostre vite vulnerabili alle domande insospettate, non-autorizzate dalla narrazione istituzionale.
Napoli non à solamente la città di Benedetto Croce o de Il Mattino, è anche la città di una migrante somala o cingalese: storie e vite che rendono la città il luogo di una modernità migrante, un luogo in transito, in traduzione, in trasformazione.
Lo spazio della città, della storia, della vita quotidiana si sposta e si declina in centinaia di luoghi reali e immaginari, fisici e immateriali per far parte dei processi che sfociano oltre i nostri confini.
Siamo sempre su quella soglia dove il non-ancora arriva da un passato mai cancellato, che resta sottotraccia; e perciò un passato destinato ad inserirsi nel divenire del nostro futuro.
Qui resta il rumore di un mondo non ancora catalogato, spiegato, reso oggetto, posseduto, reso mio, nostro.
Queste storie, queste aperture insospettate depositate negli oggetti raccolti possono prendere anche la forma di suoni.
Qui incontriamo delle memorie sospese nelle vibrazioni dell’aria che propongono degli archivi – dimenticati, smontati, a pezzi – che continuano a custodire vite e storie che resistono e persistono.
Possiamo ascoltare la musica del nono secolo di Abu I-Hasan ‘Ali Ibn Nafi, meglio conosciuto come Zaryíb suonato da Naseer Shamma che piega il tempo lineare dello storicismo per far emerge qualcosa dalle pieghe profonde del tempo-spazio che ci interroga. Il viaggio di Zaryíb da Baghdad a Cordova undici secoli fa resta sospeso nel suono della sua musica sostenuta nel presente.
Qui, forse, si passa da un’idea di un passato archeologico, con la sua sedimentazione cronologica che ci assicura la giusta distanza, ai percorsi rizomatici che rifiutano tale distanza e minacciano di invadere il nostro presente: si tratta di una genealogia che propone non solamente la storia del presente, ma la storia come presente (Foucault).
Questo scenario ci lascia con la domanda di un amico appena scomparso: Where Are We Now?/Dove ci troviamo ora? (David Bowie)
Domenico Mennillo, particolare da Archive de la Mélancolie Italienne, in WLK, Napoli, Museo Nitsch, 2015.
Neomonadologia anarcheologica
Tiziana Terranova
Museo Nitsch 12.1.16
Anarcho-archeologia: archeologia senza un leader, senza un capo, senza un inizio. Un modo di ascoltare che produce una storia visionaria. L' arte di usare dispositivi tecnici preservando un senso dello loro multiple possibilità.
Anarcho-wunder-archeologia: archeologia anarchica delle meraviglie.
Dice l'anarcheologo: non cercare il vecchio nel nuovo, ma trova il nuovo nel vecchio. Non seguire la linearità dello sviluppo ma rivela l'esistenza di una variantologia della tecnica fatta di equilibri instabili e improvvise rotture. Non andare dalla manualità della lettera alla macchina da scrivere e dalla stampa all'email e l'SMS. Non cercare di procedere dal dipinto alla fotografia all'immagine digitale, ma trova l'algoritmo e il pixel a Baghdad, la cibernetica e i suoi feedback a Timbuktù, la computazione nell'arte della tessitura dei tappeti delle donne del Nordafrica. L'anarcheologia scompiglia la storia, dispiega gli strati, costruisce nuovi piani, mette in relazione quello che si supponeva distinto, separato, collocato in un un prima e dopo che stabilisce la direzione di un progresso. Non discrimina tra l'arcaico e il futurista, ma trova le memorie del futuro in quello che sembrava definitivamente passato.
L'anarcheologo è forse la figura meglio equipaggiata ad incontrare un archivio frammentato e disperso. L'accumulazione di tracce, residui, rimanenze di centocinquantanni di riproduzione tecnica ci restituiscono un archivio disseminato e pieno di soprese. L'anarcheologo dei media non si reca semplicemente in archivio nel tentativo di recuperare una traccia che renda possibile un discorso. L'anarcheologo è consapevole che l'archivio della memoria mediata dalla tecnica (che sia la scrittura o la fotografia o il fotogramma di celluloide) non è contenuto in nessun edificio. Forse, dunque, l'anarcheologo opera in uno strano tempo e terra di mezzo: la terra e il tempo che stanno tra l'archivio ufficiale e le server farm, tra la catalogazione e selezione del documento secondo crismi di ufficialità all'accumulazione indiscriminata dei Big Data. I suoi 'oggetti trovati' compongono (artificiosamente) una 'camera delle meraviglie' in cui ogni oggetto o traccia include di per se stessa un mondo.
L'anarcheologo dunque non racconta delle storie che hanno un inizio o una fine, ma opera, potremmo dire, sulla base di tracce contenute in oggetti materiali che compongono dei mondi. Potremmo dunque definire la materia prima dell'anarcheologo non tanto il documento o la traccia in senso generico, ma una materia tecnica e mnemonica granulare e discontinua. Nell'attraversare un archivio dispiegato, un archivio senza muri, un archivio costituito all'incrocio di reti sociali eterogenee e casuali, forse, dunque, l'anarcheologo incontra la monade. Gilles Deleuze: 'La proposizione più famosa di Leibniz è questa: ogni anima o soggetto è completamente chiusa, senza porte o finestre e contiene tutto il mondo nelle sue profondità più oscure, illuminando qualche piccola porzione di mondo, ogni monade una porzione diversa. Così il mondo è incluso in ogni anima, ma diversamente, perchè ognuna illumina solo uno degli aspetti del tutto...' La monadologia Leibniziana è una metafisica postumana ante litteram: la monade non coincide con il soggetto, ma estende qualcosa della soggettività a ogni singolarità: foto, fotogramma, lettera, scrittura, nota, suono, colore. Cosa vuole o crede una lettera d'amore? A partire da cosa si dispiega l'intensità affettiva dell'incontro con un volto sconosciuto in una vecchia foto a bianco e nero? Che mondi si nascondono dietro le pagine ingiallite di un libro contabile? Nelle sue spedizioni meravigliose, l'anarcheologo non può non incontrare queste strane singolarità, queste entità postumane che non si riferiscono esclusivamente a un soggetto umano, ma che esprimono l'incontro tra soggettività, medium e materia.
Ogni monade, ci dicono i neo-monadologi, 'rappresenta finitamente l'infinito', include tutta una serie di eventi e accidenti e trasmette il mondo intero, rappresentandocene più chiaramente una piccola regione, una serie di affetti, relazioni e sentimenti che trae dal suo 'fondo oscuro'. Il microscosmo contiene il macrocosmo e ogni monade si divide tra una materialità infinitamente estendibile e quel punto che non permette a uno spazio infinitamente divisibile di disperdersi nel nulla. Così ci dice il neomonadologo Gabriel Tarde: il processo di divisione della materia non ci conduce all'atomo, a qualcosa di indivisibile, ma a un centro senza involucro, ad una forza. La monade non ha confini come gli organismi autopoietici della cibernetica, ma essa è là dove agisce e in quanto tale attraversa lo spazio e il tempo. La caratteristica della monade è quella di 'agire a distanza' I suoi predicati sono, nelle parole di Deleuze, affezioni e relazioni. Il suo esterno si proietta verso l'anarcheologo (colori, sfumature, tonalità, melodia) mentre l'interno continua a ripiegarsi su se stesso e a rimanere chiuso. Ogni monade avviluppa una moleplicità e sviluppa l'uno come potenza di avviluppo e sviluppo del multiplo. I suoi movimenti sono caratterizzati da variazioni e formano giudizi e disegni.
Neomonadologia anarcheologica: uscire dall'archivio, uscire dalla linearità della storia, uscire dal progresso forse significa incontrare le monadi? Frammenti che non rimangono tali ma che suggeriscono dei mondi che non è mai possibile dispiegare continuamente e conoscere integralmente? L'anarcheologia neomonadologica non cerca l'archè, non vuole svelare il passato, ma è l'incontro con la singolarità di un passato che racchiude tutta quella che chiamavamo storia.
Anarcho-archeologia: archeologia senza un leader, senza un capo, senza un inizio. Un modo di ascoltare che produce una storia visionaria. L' arte di usare dispositivi tecnici preservando un senso dello loro multiple possibilità.
Anarcho-wunder-archeologia: archeologia anarchica delle meraviglie.
Dice l'anarcheologo: non cercare il vecchio nel nuovo, ma trova il nuovo nel vecchio. Non seguire la linearità dello sviluppo ma rivela l'esistenza di una variantologia della tecnica fatta di equilibri instabili e improvvise rotture. Non andare dalla manualità della lettera alla macchina da scrivere e dalla stampa all'email e l'SMS. Non cercare di procedere dal dipinto alla fotografia all'immagine digitale, ma trova l'algoritmo e il pixel a Baghdad, la cibernetica e i suoi feedback a Timbuktù, la computazione nell'arte della tessitura dei tappeti delle donne del Nordafrica. L'anarcheologia scompiglia la storia, dispiega gli strati, costruisce nuovi piani, mette in relazione quello che si supponeva distinto, separato, collocato in un un prima e dopo che stabilisce la direzione di un progresso. Non discrimina tra l'arcaico e il futurista, ma trova le memorie del futuro in quello che sembrava definitivamente passato.
L'anarcheologo è forse la figura meglio equipaggiata ad incontrare un archivio frammentato e disperso. L'accumulazione di tracce, residui, rimanenze di centocinquantanni di riproduzione tecnica ci restituiscono un archivio disseminato e pieno di soprese. L'anarcheologo dei media non si reca semplicemente in archivio nel tentativo di recuperare una traccia che renda possibile un discorso. L'anarcheologo è consapevole che l'archivio della memoria mediata dalla tecnica (che sia la scrittura o la fotografia o il fotogramma di celluloide) non è contenuto in nessun edificio. Forse, dunque, l'anarcheologo opera in uno strano tempo e terra di mezzo: la terra e il tempo che stanno tra l'archivio ufficiale e le server farm, tra la catalogazione e selezione del documento secondo crismi di ufficialità all'accumulazione indiscriminata dei Big Data. I suoi 'oggetti trovati' compongono (artificiosamente) una 'camera delle meraviglie' in cui ogni oggetto o traccia include di per se stessa un mondo.
L'anarcheologo dunque non racconta delle storie che hanno un inizio o una fine, ma opera, potremmo dire, sulla base di tracce contenute in oggetti materiali che compongono dei mondi. Potremmo dunque definire la materia prima dell'anarcheologo non tanto il documento o la traccia in senso generico, ma una materia tecnica e mnemonica granulare e discontinua. Nell'attraversare un archivio dispiegato, un archivio senza muri, un archivio costituito all'incrocio di reti sociali eterogenee e casuali, forse, dunque, l'anarcheologo incontra la monade. Gilles Deleuze: 'La proposizione più famosa di Leibniz è questa: ogni anima o soggetto è completamente chiusa, senza porte o finestre e contiene tutto il mondo nelle sue profondità più oscure, illuminando qualche piccola porzione di mondo, ogni monade una porzione diversa. Così il mondo è incluso in ogni anima, ma diversamente, perchè ognuna illumina solo uno degli aspetti del tutto...' La monadologia Leibniziana è una metafisica postumana ante litteram: la monade non coincide con il soggetto, ma estende qualcosa della soggettività a ogni singolarità: foto, fotogramma, lettera, scrittura, nota, suono, colore. Cosa vuole o crede una lettera d'amore? A partire da cosa si dispiega l'intensità affettiva dell'incontro con un volto sconosciuto in una vecchia foto a bianco e nero? Che mondi si nascondono dietro le pagine ingiallite di un libro contabile? Nelle sue spedizioni meravigliose, l'anarcheologo non può non incontrare queste strane singolarità, queste entità postumane che non si riferiscono esclusivamente a un soggetto umano, ma che esprimono l'incontro tra soggettività, medium e materia.
Ogni monade, ci dicono i neo-monadologi, 'rappresenta finitamente l'infinito', include tutta una serie di eventi e accidenti e trasmette il mondo intero, rappresentandocene più chiaramente una piccola regione, una serie di affetti, relazioni e sentimenti che trae dal suo 'fondo oscuro'. Il microscosmo contiene il macrocosmo e ogni monade si divide tra una materialità infinitamente estendibile e quel punto che non permette a uno spazio infinitamente divisibile di disperdersi nel nulla. Così ci dice il neomonadologo Gabriel Tarde: il processo di divisione della materia non ci conduce all'atomo, a qualcosa di indivisibile, ma a un centro senza involucro, ad una forza. La monade non ha confini come gli organismi autopoietici della cibernetica, ma essa è là dove agisce e in quanto tale attraversa lo spazio e il tempo. La caratteristica della monade è quella di 'agire a distanza' I suoi predicati sono, nelle parole di Deleuze, affezioni e relazioni. Il suo esterno si proietta verso l'anarcheologo (colori, sfumature, tonalità, melodia) mentre l'interno continua a ripiegarsi su se stesso e a rimanere chiuso. Ogni monade avviluppa una moleplicità e sviluppa l'uno come potenza di avviluppo e sviluppo del multiplo. I suoi movimenti sono caratterizzati da variazioni e formano giudizi e disegni.
Neomonadologia anarcheologica: uscire dall'archivio, uscire dalla linearità della storia, uscire dal progresso forse significa incontrare le monadi? Frammenti che non rimangono tali ma che suggeriscono dei mondi che non è mai possibile dispiegare continuamente e conoscere integralmente? L'anarcheologia neomonadologica non cerca l'archè, non vuole svelare il passato, ma è l'incontro con la singolarità di un passato che racchiude tutta quella che chiamavamo storia.